Alcune particolari esposizioni rocciose della Val Baganza, possono essere sicuramente considerate un patrimonio naturale di grande valore perché aiutano i geologi a ricostruire la complessa storia delle nostre montagne. Una storia lontana da noi decine di milioni di anni e, ovviamente, non ancora del tutto svelata. Dalle sue sorgenti sino alle colline che si affacciano sulla pianura, l'erosione del Baganza mette a giorno rocce che raccontano di antichissimi fondali marini dove non regnava la tranquillità, ma erano attive immani compressioni tettoniche che corrugavano il fondo del mare e in parte lo inghiottivano in profondità. Le stratificazioni che nel frattempo si depositavano orizzontalmente le une sulle altre, finivano così per affastellarsi e in parte venivano sgretolate. Queste compressioni tettoniche hanno trasformato un antico oceano in un enorme corrugamento sottomarino che successivamente è diventato una catena montuosa, dove lenti sollevamenti tettonici ed altrettanto lenti fenomeni erosivi hanno prodotto le attuali montagne. La maggior parte delle rocce incise dal Baganza ha un'origine sedimentaria, derivando dalla cementazione di sedimenti depositati su fondali marini. Queste rocce, inoltre, sono alloctone perché si trovano in luoghi oggi molto distanti dall'originaria zona di sedimentazione, spostate delle spinte tettoniche per distanze sempre più grandi, mano a mano che aumenta la loro età. Così per le rocce che hanno un'età di cinquanta milioni di anni, come ad esempio il Groppo del Vescovo, si può immaginare un originario bacino di sedimentazione distante decine di chilometri, mentre per le radiolariti di Casaselvatica, vecchie di centosessanta milioni di anni, si può immaginare un bacino lontano centinaia di chilometri. Tutte le rocce formate in questo antico mare, che i geologi definiscono Bacino liguride, sono state poi spinte da colossali forze tettoniche sopra un'altra successione rocciosa che nel frattempo si era formata in un altro bacino, meno lontano da noi, definito toscanide. Lungo la dorsale tosco-emiliana il sollevamento tettonico abbastanza recente (ultimo milione di anni) ha portato a giorno le ultime rocce sedimentate in questo Bacino toscanide circa venticinque milioni di anni fa: le arenarie di Monte Orsaro (Macigno). Solo nella parte più bassa del suo corso, a valle di San Vitale Baganza, il torrente incide rocce autoctone, derivanti dai sedimenti deposti durante gli ultimi cinque milioni di anni, in un mare che occupava queste aree.

 

Le regolarissime stratificazioni del flysch

Il termine flysch fu utilizzato per la prima volta nel 1827 da Bernhard Studer, per distinguere una particolare tipologia di roccia sedimentaria delle Alpi svizzere. Nel secolo successivo, si cercò di capire la genesi di questi strati particolari e si scoprì che derivavano dalla sedimentazione di sabbie finissime e fanghi calcarei ad opera di correnti di torbida che con i loro flussi avevano distribuito regolarmente depositi fini su fondali marini molto profondi. Le stratificazioni prodotte da queste correnti di torbida, definite dai geologi torbiditi, hanno sempre un aspetto caratteristico: la parte bassa degli strati è costituita da finissime sabbie cementate e la parte alta, spessa anche diversi metri, è formata da marna grigia scagliettata. Le sabbie fini rappresentano il sedimento che per primo è stato depositato dalla corrente di torbida, mentre le marne derivano dal fango calcareo che lentamente è poi decantato. Ogni strato è stato prodotto da una singola corrente di torbida e il fenomeno si può considerare istantaneo, se rapportato ai lunghissimi tempi geologici misurabili in milioni di anni. La maggior parte del tempo geologico non viene quindi "registrata" nella sedimentazione degli strati di torbidite, ma in quella dei sottilissimi livelli argillosi che agli strati si interpongono. Questi veli argillosi, prodotti da lentissima decantazione su fondali molto profondi (oltre i 4000 metri) sono difficili da analizzare ed hanno probabilmente ancora molte cose da raccontare ai geologi.

In qualche fortunato caso la corrente di torbida si depone con relativa delicatezza e,  sulla superficie basale dello strato rimane impresso, come in un calco, l'aspetto che in quel momento aveva il fondale, con le tracce degli organismi che lo colonizzavano, strisciando e cibandosi di fango. La traccia fossile più caratteristica, da cui deriva la denominazione di flysch ad elmintoidi  è quella dell' Helminthoidea labirintica. La regolarità delle stratificazioni, rigorosamente parallele l'una all'altra, lascia supporre che l'originario fondale marino, avesse forma piana e regolare e fosse sviluppato in profondi solchi, molto allungati e piuttosto stretti, tali da favorire la deposizione di fanghi in grandi spessori. La sedimentazione dei flysch è iniziata circa settanta milioni di anni fa, in bacini marini che per centinaia di chilometri delineavano quella fascia che sarebbe successivamente diventata la Catena delle Alpi e quella dell'Appennino. Gran parte della Val Baganza risulta incisa nel flysch; la stratificazione di queste rocce controlla sia lo scorrimento delle acque superficiali che i fenomeni erosivi e imposta tutto il processo di modellamento del paesaggio. Il flysch ad elmintoidi esposto lungo la Val Baganza, analizzato con cura nei suoi caratteri litologici e nella sua età, determinata con microfossili, si è rivelato di tre diverse tipologie, distinte dai geologi con riferimento alle località tipiche di Monte Caio, Monte Cassio e Monte Sporno.

Flysch di Monte Caio

 Questo flysch, che si colloca in posizione geometrica inferiore, affiora lungo tutta la dorsale che dal Monte Cervellino al Passo Sillara, fa da spartiacque con la Val Parma e poi nella parte più alta della valle, da Berceto quasi fino al Passo della Cisa.  Gli strati sono generalmente poco inclinati e risultano rovesciati, con le superfici basali rivolte verso il cielo. Indubbiamente ciò che si osserva è il risultato di un grandioso piegamento tettonico che ha coinvolto tutta la successione degli strati, prima ancora che questa venisse spinta a rico-prire le rocce toscanidi. Una delle poche zone dove gli strati del flysch conservano ancora la normale giacitura che avevano quando sono sedimentati, si trova tra la sorgente del Baganza e Casa Rombecco. Qui, inoltre, si può osservare un'importante testimonianza di come doveva essere costituito il fondale marino su cui è sedimentato il flysch; infatti, gli strati ricoprono regolarmente un ammasso di roccia magmatica granitica. Questi graniti di Rombecco sono una roccia tipica della crosta continentale e alle datazioni con radioisotopi hanno rivelato un'età di 250-280 milioni di anni. Si può quindi ritenere che essi costituiscano un lembo residuo dell'antichissimo Continente Pangea, quell'enorme placca continentale unitaria, formata alla fine dell'Era paleozoica. All'inizio della successiva Era mesozoica, Pangea venne frantumato da un'intensa distensione tettonica che portò anche alla formazione del bacino oceanico liguride. Un lembo dei graniti di Pangea, staccatosi dalla sua origina-ria placca continentale avrebbe potuto così trovarsi, come un naufrago, in pieno Oceano liguride, per finire poi nel profondo bacino di sedimentazione del flysch.

Flysch di Monte Cassio

Questa seconda tipologia di flysch ad elmintoidi risulta magnificamente esposta in sinistra Baganza alle pendici di Monte Cassio, dove si osserva una successione di strati con spessore superiore al migliaio di metri. Le stratificazioni risultano deformate da un ampio piegamento tettonico che preserva al nucleo gli strati più giovani (sinclinale). L'ampia piega si osserva direttamente in sinistra Baganza alle pendici di Monte Cassio e si può anche ricostruire sul versante opposto, tra il Monte Cavalcalupo e il Montagnana. Questo flysch è molto simile come aspetto al flysch dell'alta Valle, ma ai geologi risulta inconfondibile, soprattutto per il maggior tenore in carbonato di calcio delle marne che risultano di colore grigio più chiaro. Talora, con un po' di fortuna, alla base degli strati più spessi, si ritrovano resti fossili di molluschi bivalvi (Inocèrami) indubbia testimonianza dell'origine marina di queste rocce. Questo flysch blandamente piegato, si sovrappone sia al flysch dell'alta Valle, nella zona di Monte Cervellino, sia a quello di Monte Sporno, nella sella tra Monte Montagnana e Vigolone. Appare quindi evidente che il Flysch di Monte Cassio, prima delle ultime fasi di erosione della Catena appenninica, costituiva un'ampia coltre tettonica che, come un drappo ripiegato, ricopriva gran parte delle altre unità rocciose.

Flysch di Monte Sporno

Scendendo ancora la Valle si passa a questa terza tipologia di flysch ad elmintoidi che in sinistra, imposta i rilievi di Monte Croce e Monte Bosso e in destra, tutto il rilievo della zona di Monte Sporno che separa la Val Baganza dal-la Val Parma. Le stratificazioni del Flysch di Monte Sporno hanno un aspetto molto simile a quelle del Monte Cassio, tuttavia, le analisi micropaleontologiche hanno rivelato per questo flysch un'età più giovane, con sedimentazione avvenuta tra cinquanta e quarantacinque milioni di anni fa circa. Le stratificazioni del Flysch di Monte Sporno sono rovesciate in tutto il primo tratto di affioramento, da Vi-golone a Calestano, poi verso valle, si susseguono notevoli spessori di strati alternativamente diritti e rovesciati, con inclinazioni che si mantengono però tutte piuttosto simili; nella zona di Marzolara, infine, un'intensa fratturazione tettonica non consente più di riconoscere la stratificazione.

Questo assetto rivela come il flysch abbia subito pesantemente gli effetti delle compressioni tettoniche più recenti esercitate dall'Appennino sul margine padano. La giacitura rovesciata del flysch, nel tratto più a monte ren-de agevole l'osservazione delle superfici di base degli strati che nella zona di Armorano possono essere toccate con mano e mostrano le cosiddette controimpronte fossili, cioè i calchi che dopo la deposizione della corrente di torbida, rimangono alla base dello strato "fotografando" la superficie del fondale, con tutte le tracce degli organismi che lo popolavano, strisciando e cibandosi di fango'.

Sulle tracce di tormentati fondali oceanici spiccano nel paesaggio dalla Valle alcuni rilievi costituiti di rocce scure, prive di stratificazione e molto fratturate, sicuramente ricchissime in ferro perché ricoperte da pa-tine rugginose. I Groppi Rossi", alle pendici del Monte Borgognone, costituiscono la più grande di queste masse rocciose, altre si conservano lungo il displuvio con la Val Parma, al Passo Sillara e alla Maestà di Graiana. Si tratta di ofioliti, lembi residui di quella roccia magmatica che costituiva l'originario fondale oceanico liguride, lembi che non sono stati trascinati in profondità quando l'oceano si è chiuso, ma sono finiti nel profondo solco di mare dove sedimentava il flysch. Se si vogliono raccogliere informazioni relative alle rocce liguridi più vecchie, diventa interessante la porzione intermedia della Val Baganza, tra il Poggio di Berceto e Cassio, una zona che da molto tempo ha attirato l'attenzione dei geologi. Nelle rocce qui esposte si conservano le tracce e i messaggi più preziosi per ricostruire la storia geologica che precede la sedimentazione dei flysch. Qui infatti, è esposto un complesso di rocce molto eterogeneo, in cui circa  70 milioni di anni fa si impostò il profondo solco del mare liguride che raccolse poi la sedimentazione per flussi di torbida dell'enorme pacco di strati del flysch ad elmintoidi. 

 

Brecce e Radiolariti di Casaselvatica

Gran parte delle osservazioni possono essere fatte abbastanza agevolmente nel tratto di valle compreso tra Casaselvatica e Chiastre, a partire dalla frana di Casaselvatica", dove il versante è da secoli sventrato da un imponente movi-mento franoso, causa di continui problemi per la viabilità ma anche occasione di osservazioni altrimenti impossibili. In corrispondenza della frana sporgono sul versante rocce talora scure e arrossate (brecce ofiolitiche), talora bianchissime (brecce calcaree) o verdastre (brecce silicee), tutte caratterizzate dalla mancanza di un ordine geometrico che possa far desumere un'eventuale stratificazione. Si tratta di corpi rocciosi molto eterogenei nei contenuti e molto irregolari nella forma, prodotti da accumuli in parte dovuti a scivolamento per frana sottomarina e in parte prodotti dalla deformazione tettonica che ha corrugato e divelto le originarie stratificazioni del fondale marino, affastellandole le une sulle altre. In questo insieme eterogeneo risulta molto interessante osservare le brecce di calcare bianco (Calcari a calpionelle). Queste sono costituite da elementi spigolosi di forma molto irregolare, che, quando si sono formati, dovevano essere già abbastanza induriti per fratturarsi e sgretolarsi, ma certamente non erano ancora del tutto consolidati e non erano ancora diventati una vera roccia. L'interpretazione che danno i geologi a questo tipo di rocce porta a ricostruire fondali marini lentamente deformati da colossali compressioni, con zone in cospicuo sollevamento (prismi di accrezione). In questi contesti, nei sedimenti in origine ben stratificati di calcare e argilla (Argille a palombini), si sarebbero inevitabilmènte sviluppate enormi pressioni dei fluidi che ancora erano contenuti nei fanghi in via di consolidazione. Tali pressioni sarebbero risultate insopportabili per gli strati che in parte si sarebbero letteralmente sbriciolati, quasi come per effetto di un'esplosione. Ampie porzioni del fondale oceanico sarebbero state così divelte e gli strati si sarebbero affastellati, formando un rilievo sottomarino molto instabile, continuamente lacerato da franamenti. I lembi più antichi di queste stratificazioni deformate ed affastellate dalle compressione tettonica sono le Radiolariti verdi del Giurassico superiore (centosessanta milioni di anni) e la Maiolica bianca del Cretacico inferiore (centoquaranta milioni di anni). Queste antichissime rocce si ritrovano oggi sul versante destro della valle, quasi allineate tra Casa Praquarola" e La Riva, ricoperte dalle brecce dalle arenarie che sono sedimentate dopo la principale fase di corrugamento tettonico. Le brecce di Casa Praquarola, caratterizzate da frammenti spigolosi biancastri e verdini, risultano durissime e per questo in passato erano molto utilizzate per realizzare le macine da mulino, macine che oggi sono in bella esposizione nella piazzetta di Chiastre. Circa cento milioni di anni fa, sopra i lembi contorti di radiolariti verdi, ha poi trovato inizio il primo ciclo di sedimentazione di sabbie torbiditiche che ha depositato le arenarie di Castel-lonchio e di Berceto. 

 

Arenarie di Castellonchio e Berceto

Il displuvio che separa l'incisione del Baganza dai versanti vallivi del Manubiola e del Grontone, è impostato in rocce arenacee a stratificazione sottile, molto erodibili e frequen-temente tormentate da movimenti franosi. Queste arena-rie derivano dalla cementazione di sabbie trasportate in profondità da flussi di torbida e stanno ad indicare che nei sedimenti marini inizia ad essere cospicua la componente sabbiosa proveniente dalle terre emerse di un continente, una componente che fino a quel momento era stata alquan-to scarsa nel bacino del Mare liguride. La stratificazione di questa roccia è sempre abbastanza sottile, con spessori che in genere non superano qualche decimetro e molto spesso si limitano a pochi centimetri. Tale caratteristica rende que-ste arenarie un'ottima pietra da costruzione, sia per le opere in muratura che per le coperture dei tetti. Per poter osservare le delicate strutture impresse in queste arenarie dalle correnti di torbida che le sedimentavano, non c'è nulla di meglio che una passeggiata lungo le vie più an-tiche di Berceto oppure lungo la Strada Romea (Via Francigena) che attraversa Castellonchio". Qui le pietre delle murature più antiche, lievemente erose da secoli di pioggia, ci rivelano come le sabbie venivano depositate dalle correnti sul fondale e come, mano a mano che il loro spessore aumentava, il loro peso spremeva verso l'alto l'acqua contenuta nelle sabbie stesse, compattandole lentamente. Sempre in queste arenarie, nella zona di Casaselvatica è stato rinvenuto lo scheletro fossile di un pesce del Periodo Cretacico, un reperto rarissimo e di grande importanza.

 

Conglomerati dei Salti del Diavolo

I Salti del Diavolo rappresentano ciò che rimane di una resistente ed estesa bancata conglomeratico-arenacea trasversale alla Val Baganza.

Solo i flussi delle correnti di torbida erano in grado di convogliare e distendere sabbia sui profondi fondali del Mare liguride e nei lunghissimi intervalli di tempo che intercorrevano tra un flusso e l'altro, sul fondo decantavano solo fanghiglie argillose rossastre, in modestissimi spessori. Le zone dove oggi prevalgono queste argille rossastre sono sempre morfologicamente depresse per l'elevata erodibilità di queste rocce la cui presenza viene rivelata solo in occasione delle arature. La scarsa resistenza all'erosione di queste argille mette però in massima evidenza l'imponente bancata verticale dei “Conglomerati dei Salti del Diavolo" che fra le rocce sedimentate prima dei flysch è sicuramente la più ricca di significato geologico e la più suggestiva nel paesaggio. Questo enorme strato di conglomerati, reso verticale dalle spinte tettoniche, si erge come un imponente muro che attraversa tutta la Valle da Cassio a Piovolo; esso rappresenta un evento catastrofico di frana sottomarina che ha convogliato su sedimenti argillosi rossi di profondità abissale una gran quantità di ciottoli e sabbie. Sul lato verso monte la bancata verticale mostra alla sua base i ciottoli più grossolani, mentre sul lato a valle è costituita da arenarie via via sempre più fini; queste ultime sono seguite da argille rossastre, visibili soltanto nella stagione delle arature, sulle quali appoggiano i primi strati del Flysch di Monte Cassio. Le analisi paleontologiche eseguite su microfossili (nan-noplancton calcareo) hanno consentito di assegnare all'importante evento sedimentario dei Conglomerati dei Salti del Diavolo un'età di circa ottanta milioni di anni. Inoltre, la natura stessa di queste rocce sedimentarie consente interessanti considerazioni sulla paleogeografia; infatti, i ciottoli trasportati in profondità da questo franamento sottomarino suggeriscono la presenza di zone continentali costiere morfologicamente elevate, con torrenti in grado di trasportare clasti arrotondati grossolani, direttamente in mare. Dopo una prima parte del loro viaggio, i ciottoli sarebbero stati accumulati in prossimità della costa, dove avrebbero stazionato fino a quando il colossale franamento sottomarino non li ha rimessi in movimento.

 

Anche la natura dei ciottoli ha fornito interessanti informazioni a diversi geologi italiani e stranieri che qui hanno condotto importanti studi, riconoscendo con sicurezza le stesse tipologie di rocce magmatiche, metamorfiche e sedimentarie che caratterizzano le alte valli prealpine lombarde. Considerando ora che nelle Alpi svizzere e francesi esistono successioni di rocce in tutto simili a queste descritte in Val Baganza, compresi i Conglomerati dei Salti del Diavolo, e considerando anche che le Alpi e l'Appennino settentrio-nale occupano oggi la fascia dove, circa ottanta milioni di anni fa, doveva svilupparsi in lunghezza il profondo solco marino dei flysch ad elmintoidi, si può tentare qualche considerazione di carattere paleogeografico.  Si può supporre che le montagne da cui, ottanta milioni di anni fa provenivano i ciottoli dei Conglomerati dei Salti del Diavolo, si collocassero in prossimità del margine della medesima placca continentale che oggi supporta sia le Prealpi lombarde che la Pianura Padana. E' però difficile pensare che di queste antichissime montagne oggi rimanga una diretta testimonianza; infatti, l'erosione che ha accompagnato l'orogenesi delle Alpi e quella dell'Appennino, può averle completamente distrutte.

 

P. Vescovi & G. Zanzucchi -Per la val Baganza 2017-